By Piero Spila
Capricciosa e orgogliosa com’è, Scarlett O’Hara ha sempre fatto quello che voleva, mai quello che le sarebbe piaciuto. Ashley, l’uomo che ha amato da una vita, rimpiange “la calma serenità dei tramonti, le tristi e lente canzoni degli schiavi, la serena sicurezza di quegli anni”, ma Scarlett non è donna fatta per i rimpianti, tanto più che Rhett se ne è andato e lei ha capito da un pezzo che a Tara il domani non potrà mai essere diverso da oggi. Tanto vale lasciarsi il passato alle spalle e affrontare il futuro, oltre Atlanta e la Georgia, oltre le rovine della guerra e gli obblighi con i vincitori.
Secondo Renoir i film più belli sono quelli che danno la sensazione di non finire neppure dopo la fine, film che offrono agli spettatori la possibilità di prolungarli, costruirci sopra ancora delle storie, anche diverse. Se è così, il finale di Via col vento è quasi perfetto, perch termina con la protagonista che pronuncia una promessa solo per ripicca (salvare la proprietà ancora una volta e riconquistare il suo uomo). Avrà presto occasione di ripensarci. Con Light America, Gaialight immagina e racconta un possibile sequel e ci fa trovare Scarlett lontana da Tara, a confronto con l’America di oggi, in un’atmosfera sospesa e un po’ magica dove la realtà della cronaca fotografica si confonde con l’apparenza dei sembianti (ma chi sono i fantasmi? chi le persone reali?) e i desideri di fuga fanno i conti con la pesantezza quotidiana.
Ecco Scarlett in cammino, con il giovanile entusiasmo di quando andava ai balli alle “Dodici querce”, prima dei matrimoni e dei lutti, delle umiliazioni e dei riscatti. Per il suo viaggio ha scelto l’abito indossato per sedurre quell’inetto di Ashley: bianco e verde, cappellino e cintura alta. E’ l’aria nuova del secolo e del cambiamento che incontra. Scarlett è incuriosita, a proprio agio. Non si è mai tanto in s – diceva un personaggio di Musil – come quando si è perso il cammino. Vaga per l’America con un andamento ondivago ma preciso: Central Park e la Quinta strada a New York, il pontile rimbombante di Coney Island con il crepitare del tirassegno e gli aromi di popcorn e hot -dog, l’oceano che non aveva mai visto, il deserto della Death Valley (Antonioni e Zabriskie Point), il confine col Messico (Welles e L’infernale Quinlan), i club per soli uomini di Detroit e le sale da gioco di Las Vegas (tanto per tenere fede alla fama). E poi il Campidoglio, a Washington, pavesato a festa, proprio nel giorno in cui ha inizio una nuova storia per gli Stati Uniti. La cosa triste per Scarlett è che non ci sono corteggiatori a contendersi il prossimo ballo, n i sorrisi o i pettegolezzi delle coetanee, n, per fortuna, i giovani euforici di andare alla guerra, n gli schiavi da comprare con “quaranta acri e un mulo”. E neppure Mamie con i suoi amorosi rimproveri. Allora Scarlett comincia a osservare meglio gli scenari che fanno da sfondo, e le persone con cui inutilmente cerca di incrociare lo sguardo, e si sente a disagio. Non ha paura, abituata ad attraversare i quartieri malfamati (lo scandalo di Tara) e affrontare bande di sbandati a colpi di pistola, eppure qualcosa non va.
Anche questo è Light America. Scarlett O’Hara, come tanti personaggi del cinema, appartiene alla nostra infanzia di spettatori, un’infanzia che è come un Eden, e quando si esce dall’Eden si perde sempre qualcosa. Scarlett ha perduto il suo carisma di donna segnata dal destino (amori infelici, morti, tradimenti, rovine). Ma al cinema il vincitore è sempre quello che perde, e Scarlett ha perduto molto e non si dà per vinta. Per inquadrarla Gaialight tiene a mente i carrelli laterali di Via col vento scelti da Fleming per enfatizzare i tramonti di Tara e i vertiginosi movimenti di gru per mostrare le centinaia di comparse a libro paga di David O. Selznick, ma poi sceglie un’inquadratura minimalista e frontale, seriale eppure sempre diversa, non solo per gli sfondi, ma perch ogni volta sembra mutare, miracolosamente, l’umore di Scarlett: un sorriso più accennato, un’impressione imbronciata, un diniego, addirittura un invito. Scarlett non è attratta dai paesaggi, a cui volta platealmente le spalle, ma è attratta da altro. Chi sta guardando Scarlett? Ed è qui che Gaialight asseconda quanto diceva Renoir, e va oltre il film per vedere come continua. Un kolossal come Via col vento, girato sulla concezione dell’eccesso, con una lente di ingrandimento che esagera sentimenti passioni sconfitte, qui si traduce in un’unica inquadratura, che però trasgredisce la regola più elementare del cinema: Scarlett guarda insistentemente in macchina e quindi incrocia lo sguardo dello spettatore rendendolo complice. Con quello sguardo misterioso e inatteso Scarlett non è più una donna fatale, ma un’amica comprensiva e cordiale che vuol condividere ciò che abbiamo capito da soli. La giovane Scarlett di Light America è un personaggio diverso dalla protagonista di Via col vento. Restando al cinema, assomiglia di più alla memorabile Natalie Wood di Splendore nell’erba, quando giovanissima non riesce a leggere per la commozione i versi di una poesia di William Wordsworth: “Quando sarà passato il tempo della giovinezza, dei sogni, delle grandi speranze, non dobbiamo chiuderci nei rimpianti, ma accettare ciò che la vita ci dà, accontentarci di quello che resta”. Esattamente quello che Scarlett non ha mai voluto fare, e per questo resterà immortale.
SCARLETT’S TRIP
by Piero Spila
Capricious and proud as she is, Scarlett O’Hara always did what she felt she had to do, never that which she would have liked to do. Ashley, the man she loved for a lifetime, mourns “the calm serenity of the sunsets, the sad and slow songs of the slaves, the serene security of those years”, but Scarlett isn’t a woman of nostalgia, all the more because Rhett left and she had long understood that at Tara tomorrow could never be different from today. It’s just as well to leave the past behind you and face the future, beyond Atlanta and Georgia, beyond the ruins of the war and the obligations to the victors.
According to Renoir the best films are those that provide the sensation of never ending, not even after the end of the film, films that offer the spectator a chance to prolong them, building into them other stories, even different ones. If that’s the case, Gone With the Wind is almost perfect, because it ends with the protagonist who makes a promise out of spite (to save her property once again and recapture her man). She will soon have occasion to change her mind. With Light America, Gaialight imagines and tells of a possible sequel. She has us find Scarlett far from Tara, confronting the America of today, in an atmosphere which is suspended and a bit magic, where the reality of the photographic report becomes confounded with semblances (but who are the ghosts? who are the real people?) and the desire to escape has to be reckoned with everyday life.
Here is Scarlett walking, with the youthful enthusiasm of when she used to go to the Twelve Oak Tree balls, before the marriages and the mourning, the humiliation and the ransom. For the trip she chose the dress she wore to seduce that bungler Ashley: green and white, hat and wide belt. She encounters the new atmosphere of the century and change. Scarlett is intrigued, at ease. One is never more oneself – says one of Musil’s characters – as when one has lost step. She wanders around America undecidedly but precisely: Central Park and 5th Avenue in New York, the rumbling boardwalk of Coney Island with the crackle of the shooting gallery and the aromas of popcorn and hot dogs, the ocean that she had never seen, the desert at Death Valley (Antonioni and Zabriskie Point), the boundary with Mexico (Welles and The Quinlan Inferno), the club for men only in Detroit and the casinos in Las Vegas (to be true to its reputation). And then the capitol, in Washington, all decked out for a holiday, exactly on the day that begins a new page in the history of America. The sad thing for Scarlett is that there are no suitors to contend for the next dance, or smiles or gossip of the young people her age or, fortunately, the euphoric young men going to war, or the slaves to be bought for “forty acres and a mule”. Neither is there Mamie with her loving scoldings. So Scarlett begins to better observe the scenery that’s in the background, and the people who try in vain to catch her glance; and she feels ill at ease. She’s not afraid, used to crossing bad neighborhoods as she is (the Tara scandal) and confronting wild gangs with her pistol. But even so, something isn’t right.
Even this is Light America. Scarlett O’Hara, as many characters in the cinema, belongs to our infancy as spectators, an infancy which is like an Eden, and when one leaves Eden, one always loses something. Scarlett has lost the charisma of a woman marked by destiny (an unhappy love affair, death, betrayals, ruin). But in the cinema the winner is always the one who loses. Scarlett has lost a lot and doesn’t give up. To put her in prospective Gaialight bears in mind the lateral dollies chosen by Fleming in Gone With the Wind to emphasize the sunsets at Tara and the dizzy movements of the crane to show the hundreds of extras paid by David O. Selznick, but then chooses a minimalist and front-angle shot, serial but always different, not only for the backgrounds but because, miraculously, each time it appears to change Scarlett’s mood: a more accentuated smile, a pouting expression, a sign of refusal, even an invitation. Scarlett isn’t attracted to the landscape, to which she blatantly turns her back, but to something else. Who is looking at Scarlett? And it’s here that Gaialight supports what Rennoir said, and goes beyond the film to see how it continues. A colossal like Gone With the Wind, filmed on the conception of excess, with a magnifying glass that exaggerates sentiments of defeated passion, manifests itself in a single shot which, however, betrays cinema’s most elementary rule: Scarlett looks insistently at the camera and therefore crosses the eyes of the spectator rendering him an accomplice. With that mysterious and unexpected glance, Scarlett is no longer a woman ordained by fate, but an understanding and cordial friend who wants to share that which we understood by ourselves. The young Scarlett of Light America is a different character from the protagonist of Gone With the Wind. Keeping to the cinema, she is more reminiscent of the memorable Natalie Wood in Splendour in the Grass when, very young, she was so overcome by emotion that she couldn’t read the lines of a poem by William Wordsworth: “What though the radiance which was once so bright Be now for ever taken from my sight, Though nothing can bring back the hour Of splendour in the grass, of glory in the flower, We will grieve not, rather find Strength in what remains behind…“. Exactly that which Scarlett never wanted to do, and for this reason will remain immortal.